Da lunedì 18 maggio l’Italia è entrata nel vivo della “fase 2”, con aperture più decise e con un riconoscimento maggiore di alcune libertà che nei mesi scorsi erano soppresse. Rimane prioritaria la prudenza per contenere il più possibile il rischio di contagio.
Le nuove disposizioni non hanno purtroppo dedicato alcuna disposizione specifica agli enti non profit, la maggior parte dei quali si avvale in tutto o in parte di volontari.
Circa le attività, non essendoci più i codici Ateco, anche quelle degli enti non profit potrebbero ripartire, sempre che esse siano anzitutto idonee a svolgersi rispettando le due condizioni fondamentali del divieto di assembramento e del rispetto della distanza interpersonale.
Il principio cardine per la riapertura è quello di garantire adeguati livelli di tutela e protezione della salute degli operatori (dipendenti e volontari) e in generale di tutte le persone coinvolte nell’attività: qualora ciò non sia possibile, l’attività deve rimanere sospesa.
Al fine di garantire la sicurezza e la salute di tutte le persone coinvolte, l’ente dovrà rispettare quanto disposto dai protocolli nazionali e regionali mettendo in atto tutte le misure e gli adempimenti necessari richiesti in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
L’impostazione corretta è quindi quella di costruire un percorso di tutela per tutte le persone coinvolte, adottando ogni misura che consenta di minimizzare il più possibile il rischio di contagio, e tenendo conto delle responsabilità a cui sono soggetti (anche) coloro che amministrano un ente non profit.