Francesco Spirito, politico

Il 14 gennaio del 2006 il Comune di San Mango Piemonte ha indetto un convegno  sulla figura di Francesco Spirito, avvocato e deputato per nove legislature,  per il quale è stato costituito un Centro Studi allo scopo di divulgarne pensiero ed opere.

L’introduzione dell’iniziativa voluta dalla Amministrazione Comunale di San Mango Piemonte guidata dal Sindaco Gaetano Napoletano, è stata curata da Italo Gallo, presidente del Centro Studi, e si è avvalsa delle interessanti relazioni svolte dai professori Luigi Rossi, docente dell’Università di Salerno, Alfonso Conte e Marco Trotta, ricercatori universitari.

Al convegno non poteva mancare, però,  l’intervento di  Antonio Roma che a Francesco Spirito ha dedicato e dedica buona parte della sua intensa attività di studioso e ricercatore storico. E precedendo  gli interventi degli illustri  relatori, Antonio Roma, propulsore del Centro Studi,   ha dato un eloquente assaggio della sua profonda conoscenza di Francesco Spirito, sia come sanmanghese ed avvocato apprezzato e rispettato,  e sia che come amministratore e politico di rilevanza nazionale, tracciandone una breve biografia, ricorrendo anche ai versi che un’altro illustre sanmanghese, l’avvocato Ortensio Cavallo, dedicò al suo compaesano affermatosi per la vastità dell’ingegno e la fierezza del carattere quale uomo uomo politico tra i più importanti del mezzogiorno d’Italia.

Tacete, che si leva a parlar, dritto
com’un atleta, e come un monumento
solenne, e com’un paladino invitto!

Scende l’eloquio misurato e lento,
qual in un ritmo ferreo, marziale,
quasi segnante il passo a un reggimento.

Così, composto, misurato, uguale,
procede nella marcia ognor sicura;
ne falla un piede, ne solleva un’ala.

E l’aula intomo sembra fatta oscura
a la monotonia della parola;
ed ei va innanzi e d’altro non ha cura.

Come fanciulli al banco della scuola,
pendon del labbro gli uditori intenti;
s’ode ne l’aula se una mosca vola.

Solo di quando in quando, et argumenti
gratia, ma senza l’ombra del latino,
par ch’i punti sugli i muti in accenti.

E ancor più rada lungo del cammino
segue alla pausa qualche esplosione:
si sente ch’a un pericolo è vicino….

E guai allor, se la tentazione
induca l’avversario in mezzo al passo;
romba la voce allora del cannone!

Che lampi e tuoni e fulmini e sconquasso:
irrompe il fiume sordo giù dal monte,
e al mar travolge quant’incontra abbasso!

Ma presto, fra le dighe e sotto il ponte
in seno all’alveo suo rientra il fiume,
e ricompare il sole all’orizzonte.

E quella fronte, che parca d’un Nume
d’Olimpo con quel sopracciglio irato,
si rasserena d’un sorriso al lume.

Ed Ei ritoma placido e pacato
al suo discorso, proprio al punto stesso,
senza parer ne fosse deviato.

Cosi ripreso il tono suo, con esso
potria continuar senza stanchezza
tutto quel giorno ed anche il giorno appresso.

Ecco perché soventi una fortezza,
che pareva imprendibil a un assalto
di baionetta, dopo lunga pezza

d’assedio, a mano a man tremar dall’alto
vide a quei colpi lenti d’arieti,
ad uno ad un scrollar ogni suo spalto.

Nemico a stratagemmi ed a segreti,
d’ogni artifizio, ei disprezzò dell’Arte
qualsiasi lenocinio, ovver cosmetico.

E sol l’usbergo di vegliate carte
e di stringente logica la lancia
chiese in soccorso a Temi, ovvero a Marte.

 

Questo avvocato, questo leone del Foro, questo grande lottatore, questo grande fustigatore del malcostume politico ed amministrativo, che nella piazza, alla sbarra, nell’aula, come detterà il Limoncelli, offrendosi spesso un po’ di lato, come ricorderà il Ferri, questo carattere, come ben lo definirà il De Ciccio, quest’uomo di grandissima statura morale, come scriverà Amedeo Moscati, perché quella fìsica non era molta, quest’uomo che sembrava altezzoso e che fu altero, che parve autoritario e fu autorevole come  testimonierà Giovanni Cuomo, quest’uomo noi ci accingiamo a ricordare, oggi  a novantadue anni dalla scomparsa.

E’ pur vero che seconda la scaletta spettano a me i saluti ed i ringraziamenti.

Ebbene, ai saluti avendovi adempiuto il Sindaco Napoletano si lascerebbero a me i ringraziamenti, quasi foss’io figlio o nipote dell’illustre concittadino nostro, quasi foss’io a rappresentare l’assenza giustificata dei familiari che da Napoli non hanno fatto in tempo ad intervenire per precedenti  impegni.

Eppure è vero, io debbo ringraziare e ringraziarvi. Tutti.

Debbo ringraziare la precedente Amministrazione Sguazzo che indegnamente  volle munire il nuovo monumento a Francesco Spirito di una mia epigrafe sostituendo quella, più bella, del Limoncelli, (Ha! Avesse accolto benevolmente anche l’altra fatica araldica !) Debbo ringraziare questa Amministrazione, soprattutto il Sindaco Napoletano, per aver sentito il mio grido ed accolta la mia preghiera nel ricordare l’illustre scomparso.

E debbo ringraziare oggi tutti voi, per essere qui, nella veste di valentissimi studiosi ed oratori, di capaci Amministratori e soprattutto di pubblico interessato alla vita ed all’opera di un grande che per trentuno anni, dal 1882 al 1913, rappresentò, personalmente e con l’aiuto e la collaborazione, diremo così, del fratello Beniamino, i Collegi di Campagna e di Montecorvino Rovella, di cui erano parte tutti i Paesi della Valle del Picentino ed oltre, fino a racchiudere oltre 30 Comuni.  Così come ringrazierò le Amministrazioni Comunale e Provinciale di Salerno quando finalmente sarà ricollocato, nei giardini pubblici del capoluogo, a fronte del monumento a Pisacane ed a quello di Giovanni Nicotera, il monumento a Francesco Spirito, elevato nel 1932 e rimosso pochi anni dopo per dare spazio alla costruzione dell’attuale Palazzo della Prefettura, perché, come ricordava il Limoncelli, oratore ufficiale di quella particolare occasione: Salerno  può aver levato un monumento a Giovanni Nicotera e consacrarne oggi uno  al suo formidabile avversario Francesco Spirito, perché, sedate le passioni dell’ora, quando alla lotta sopravvivono la lealtà e la fierezza, si può, in nome di una giustizia superiore, collocare sullo stesso altare entrambi i contendenti e render loro onore.

(Rievoco i particolari del ritrovamento del busto marmoreo, opera del Pellegrino, del 1915, l’articolo del Moscati sulle peripezie del busto, l’aiuto del prof. Natella e della Dott.sa Palmieri nel ritrovare il busto presso l’ Ufficio Economato della provincia di Salerno).

Ma ai ringraziamenti lasciate ch’io aggiunga, in attesa della prossima pubblicazione del mio modesto lavoro “CONOSCERE FRANCESCO SPIRITO: la figura e l’opera di un grande attraverso i suoi scritti ed i giudizi dei contemporanei” per cui chiedo, quasi imploro qui una introduzione a firma dell’illustre prof. Italo Gallo, pubblicazione a cura dell’Amministrazione Comunale e della Pro Loco,  poche note biografiche su Francesco Spirito nato in questa antica Terra materna del Sannazaro, a pochi passi da qui, il 10 Giugno del 1842, da Mariantonia Sica della vicina Filetta e da Michele Spirito, caro nel ricordo cittadino per aver donato, nel 1851, quel bel reliquiario d’argento che ancora racchiude e gelosamente conserva una particela del glorioso corpo del nostro protettore San Magno, quasi sicuro dono fatto alla nostra Comunità da un grande Salernitano di cui il 3 agosto scorso cadde il novecentenario della morte, quel monaco benedettino Pietro, già al seguito del futuro papa Gregorio VII, che fu Vescovo di Anagni dal 1062 al 1105, salito poco dopo alla gloria degli altari e più noto come San Pietro Anagnino.

Allievo prima di Don Clemente Clarizia della vicina Sordina, dei Fratelli Liunguiti poi, e del professore De Filippis, studiò all’Università di Napoli ove conseguì la laurea in giurisprudenza, non prima di aver partecipato alla spedizione dei Mille al seguito di Garibaldi.

Affacciatosi presto alla vita politica, restò sulla breccia per oltre cinquant’anni, sempre fermo nelle sue convinzioni, tanto da poter affermare a settantanni : sono oggi quale fui a diciotto.

Legatissimo alla famiglia, ebbe per il fratello Beniamino un amore particolare, che più che fraterno, parve a tutti, e forse a Lui stesso, paterno.

Questa predilezione ed una particolare rivalità tra gli amici collaboratori, gli faranno commettere quell’errore che portò, è vero il fratello Beniamino alla Camera ma gli fece perdere quei consensi che più tardi avrebbero causato la sua caduta parlamentare. E’ giusto però qui, sia solo per un attimo, ricordare che Beniamino Spirito, che fu Deputato per sette legislature e senatore del Regno dal 1915 in poi, fu ottimo civilista e certamente al pari, se non superiore, di quanti, appartenenti alla cerchia del fratello, anelassero a quel posto.

Altro grande amore ebbe per il suo Collegio, ove fu sempre presente nelle occasioni non solo propagandistiche, ma nelle belle come nelle tristi occasioni, così come ebbero a sperimentare le popolazioni della Valle in occasione dell’alluvione del 1899 ed in altre calamità che colpirono, in quegli anni, i Comuni del Collegio.

Una particolare predilezione ebbe per la città di Eboli, quasi sua seconda patria, come la ebbe per Napoli, in cui visse ed esercitò la professione, e di cui va ricordata la grande opera riformatrice ed urbanistica svolta insieme al grande NICOLA AMORE, come ricorda la stessa lapide, a firma del Botta, affissa sulla casa di abitazione nel 1926.

Amò con pari affetto tutti i Comuni che lo avevano scelto a loro deputato e che gli tributavano infinita riconoscenza, se ci soffermiamo a leggere le pagine dell’Irno e della Frusta, ove i Viaggi trionfali dei Fratelli Spirito riempivano le testate di questi periodici provinciali. Partecipò, col fedele Budetti, alla nascita del Comune di Pontecagnano Faiano e fu tra i promotori e sostenitori del miglioramento della viabilità dell’intera provincia. Fu relatore di vari provvedimenti a favore del Mezzogiorno, per cui, l’accostamento che spesso si fa del suo nome a fianco di quello dei Fratelli Spaventa, di Giustino Fortunato e di Francesco Saverio Nitti non meraviglia. Anzi, secondo il Labriola, questi ultimi due, il Fortunato ed il Nitti (che fu anche suo allievo come lo sarà il De Nicola ed il Moscati), che vanno grandemente ricordati ed apprezzati per il loro contributo soprattutto teorico a favore delle Provincie Napoletane, non ebbero la stessa forza combattiva che non mancò a Francesco Spirito, spesso troppo preso dalla sua eterna lotta col Nicotera, i nicoterini ed il nicoterismo, come ebbe a scrivere il redattore del Corriere di Napoli nel Luglio del 1893, in occasione della Legge Bancaria : Abituato da vent’anni a lottare nel Salernitano con Nicotera, coi nicoterini e col Nicoterismo, l’egregio e valente uomo ha finito col giudicare  tutta la politica del Mezzogiorno e tutta la politica italiana dal punto di vista di quegli attriti locali. Egli è come ipnotizzato. Se l’On. Nicotera fosse nato nella settimana in cui Domeneddio creò il mondo, l’On. Spirito giudicherebbe certamente la creazione come giudica il suo avversario, sarebbe, non vogliamo dubitarne, peccato per la creazione, non per l’On. Spirito.

A difesa del Nostro dovremmo però ricordare la mancata elezione nel Collegio li Avellino del 1876, quando il Nicotera si soffermò in quella città appunto per ostacolarne prima la candidatura e poi l’elezione, non sappiamo se da solo oppure con la madre, considerato che in altre occasioni la determinata signora aveva cercato di aiutare l’elezione degli amici del figlio Giovanni elemosinando voti fin davanti alle chiese; potremo rievocare il celeberrimo processo di Firenze; le particolari azioni punitive del Nicotera Ministro degli Interni che colpirono tutti gli amici del Nostro, uno tra tutti il ricordato ing. Budetti, che da Capo del Genio Civile di Salerno, per non essere spedito a Potenza, volle riprendere l’attività privata pur di essere fedele ad un ideale e ad un uomo; e la stessa nostra comunità che si vide privata, da un giorno all’altro, della Caserma dei carabinieri voluta dallo Spirito. Ma forse faremmo prima ad evidenziare quel particolare momento politico che prese il nome di Trasformismo e che vide in Nicotera uno dei massimi esponenti se non il facitore principe.

Ma Francesco Spirito fu anche figlio amorevolissimo di questa sua terra natale, né la dimenticò giammai. Spesso vi fece ritorno, o come acclamato Consigliere Comunale o come trionfatore di una grande battaglia forense, o come sostenitore, alla Camera, delle richieste e dei bisogni del Collegio che rappresentava e che aveva l’onore di essere da Lui rappresentato.

Amava questa sua Terra tanto da volerci edificare una casetta di campagna ove distaccarsi da tutte le quotidiane fatiche che la sua grande laboriosità gli portava a compiere, amava questo suo natio paesello e fu per esso l’ultimo affettuoso saluto, le ultime dolci parole, in quel lontano settembre del 1913, così prossimo alla fine. Trovandosi, infatti, all’estrema punta di Agerola che si sporge sul Golfo di Salerno, guardando i paesi sottostanti, li collegava ad episodi della sua vita professionale, rivelava la sua tenerezza filiale per la Provincia natia e mirato lo sguardo ad oriente, ammutolì, divenne pensoso. “Quelle sono le montagne del mio  paese” disse dopo qualche istante, quasi fra sé. Nel  gennaio del 1914 la fine!

Lasciate, quindi, ch’io mi accomiati da voi ricorrendo come per l’inizio, ai versi del nostro Ortensio Cavallo, che elevò tanta ode a si gran figlio:

Perché il tuo corso, o Picentino, è lento
e sembra l’onda tua rappresa in gelo;
e soffocato il murmure in lamento?

Perché di sopra fosco il più bel cielo?
Perché cotanti segni di mestizia
intorno, e ovunque il più funereo velo?

La bella valle, ch’alla puerizia
sorrise del più dolce tra’ i poeti
sembra una landa della nivea Scizia?

Non son tre anni e funestata Sieti
fu da quell’altro annunzio a noi ferale:
L’ultimo è spento dei civili atleti!

Ed or è questa terra mia natale,
che ha perso l’invincibile oratore,
gigante dell’aringo criminale:

quei, che dal guscio avea S. Mango fuore
tratto, rendendol  col suo nome noto
al mondo, oh primo ed ultimo splendore!

Ed ora al velo oscuro dell’ignoto
ritorna, orbata terra sua natia;
che più non hai chi riempa tanto vuoto.

Oh! un’eco almen di quella poesia,
che risuonò da la Sincera avena,
vibrasse in questa geremiade mia,

che dalle mura tue levarsi appena
non sol dovria; ma effondersi lontano
quant’essa è d’Appenino la catena;

e non per sfogo di sventura vano,
ma celebrata almen perché nel duolo
restassi nel ricordo italiano.

Ah! quei, che ti fe’ nota, il suo gran volo,
ha sciolto al Cielo; e derelitti e oscuri
lascionne qui col suo gran nome solo.

Or questo aita prestimi, i tuoi muri
e le tue fosse a valicar coi vanni,
ond’il tuo nome passi ai dì venturi.

Qui nacque e scorse i suoi più teneri anni;
qui schiuse ai primi raggi l’intelletto;
e qui provò del core i primi affanni.

Qui vive certo ancor chi giovanotto
lo vide accorrer de la Patria al grido,
a sporre in campo eroicamente il petto.

Qui tutti di Partenope dal lido
ogni anno, come il migrator uccello,
miraronlo tornar al patrio nido.

Infine ognun qui, ricco o poverello,
quella sua porta mai trovò rinchiusa;
ma v’ebbe l’accoglienza di un fratello.

E (aggiungerlo oserò) qui pur la Musa
spirommi il canto. Oh nobile palestra
agli esercizi più gentili schiusa.

Oh! Stato adatto al volo fossi; o destra
ella a raccormi sotto l’ombra dei
vanni de la grand’aquila maestra.

Or io gli strali al cor non sentirei
di quell’inesauribile rimorso,
che la radice sa dei mali miei:

l’aver si presto abbandonato il corso,
cui era un tanto buon maestro guida,
per correr solo e senza sella e morso,

in quell’età pei giovani mal fida,
in cui si spesso può cadersi involto
entro i laccioli della maga Annida.

Oh! Non l’avessi mai lasciato, stolto;
oh! combattuto avessi a lui vicino,
fin a cader nella sua toga avvolto.

Ma che miserie rievoco, meschino;
mentre sol debbo in doloroso metro
compiangere il tuo lutto, o Picentino?

Quel dì  tu fossi risalito indietro;
e quindi straripato dalle sponde
su quel paese più di luce tetro!

Che non avresti maculato l’onde
di tanto fango, quanto in quel nefasto
giorno esse accolser (eh! so ben io d’onde….)

Se i Manfredi di più levaron l’ali;
se più copiosi furon i Rosani;
se i Ruffa più disseminaron sali;

Se i Gerardi. tra’ morti, edj Marciani,
tra’ viventi (usque ad seculum!) nodriti
più fur di studi e più di battimani

coverti; non furo altri più muniti
di Logica, onde i Giudici convinti
restaron quasi sempre e ognor stupiti.

O mia Picenza un dei vetusti plinti,
che male altrove collocati mostri,
un dì quei bronzi che togliesti ai vinti,

innalza e cingi di romani rostri;
e su v’incidi il nome glorioso
dell’ultimo campion dei grandi nostri.

che nel sepolcro sol trovò riposo!

Passiata pe’ Santomango

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