Treno 8017: una tragica fine di tanti campani che non può cadere nell’oblio dell’indifferenza e dell’anonimato.

La sciagura che nella cultura rurale meridionale assurse a datazione degli avvenimenti locali a pre e post tragedia, è stata, ed è ancora, oggetto di ricerche e studi. Da ricordare, in primis, la pubblicazione dell’avvocato     Gianluca Barneschi, che ha desecratando gli atti conservati negli archivi americani ha avviato un processo di conoscenza e revisione della vicenda. Rilevante anche le pubblicazioni cartacee e visive del professor Enzo Esposito dell’Università di Salerno, frutto di ricerche e raccolta di testimonianze, dalle quali sono scaturite, tra il 2008 ed il 2014, una intensa programazione sul “Treno 8017” che ha coinvolto Università di Salerno, Enti, Comuni, Pro Loco, Associazioni, antropologi, autori, ricercatori, testimoni e parenti delle oltre seicento vittime.

In particolare le Pro Loco di San Mango Piemonte (SA) e Balvano (PZ), sulla scorta di eventi storici comuni, familiarità culturali e consolidati interscambi tra i rispettivi territori, gemellatesi nel 2008 con volontà condivisa e solidale, hanno attuato una serie di inziative nell’ambito del progetto “San Mango – Balvano: percorso di memoria e di futuro” col proposito di contribuire a dar voce a chi voce non ha avuto, di dare ossigeno ad una memoria comune ancora viva ripercorrendo, assieme a ricercatori e testimoni, il cammino della speranza e del bisogno,  di dare un segno al silenzioso sacrificio di tanti civili dimenticati (padri e madri, fratelli e sorelle) vittime incolpevoli di una odiata guerra, di favorire la speranza di un riconoscimento, almeno monumentale, ai tanti conterranei morti nella più immane sciagura ferroviaria italiana, di contribuire all’affermazione delle vere ragioni di un viaggio, iniziato coi sapori di un bisogno, terminato coi colori di una tragedia, obliato dai resoconti di un silenzio.

L’immane sciagura dipinta dalla nota artista salernitana Laura Bruno maturò in un meridione devastato dalla guerra e dalla fame, dedito principalmente alla ricerca di cibo necessario alla sopravvivenza.

Una tragedia ferroviaria che destò molta commozione all’epoca e che rimane, ancora oggi, la più grande catastrofe consumatosi sulle rotaie italiane. Il 2 marzo 1944 partì dalla stazione di Battipaglia, destinazione Potenza, il treno straordinario 8017. Aveva doppia trazione, assicurata da due locomotive del deposito di Salerno, e 47 carri, dei quali 6 carichi con merci varie civili e 41 vuoti. Sul convoglio merci avevano preso posto oltre 600 viaggiatori, provenienti da vari comuni del napoletano e del salernitano, che andavano ad acquistare cibo per i propri cari o da rivendere al mercato nero di Salerno e Napoli. Il treno procedeva lentamente ed alle una circa del 3 marzo entrò nella galleria delle “Armi” nella tratta Balvano-Ricigliano. Quando tutti i vagoni, eccetto gli ultimi due, si trovarono all’interno della galleria, le ruote motrici delle locomotive iniziarono a slittare e poi si bloccarono del tutto. I macchinisti cercarono di far ripartire il treno, il fumo della combustione riempì la galleria col micidiale monossido di carbonio. Morirono in 526 senza accorgersi del pericolo, senza panico o tentativo di fuga. L’immane tragedia maturò in un meridione devastato dalla guerra e dalla fame, dedito principalmente alla ricerca di cibo necessario alla sopravvivenza. Molte famiglie residenti nei comuni salernitani e napoletani aspettarono invano il ritorno dei loro cari congiunti con un po’ di pane, qualche uova o della farina per lenire i morsi della fame. Il 9 marzo 1944 il Governo Badoglio, con sede a Salerno, dedicò l’intera seduta alla sciagura. Fu aperta un’inchiesta anche dagli alleati.

A distanza di 74 anni dal tragico avvenimento sono ancora in molti a chiedere di fare chiarezza sulle circa 600 vittime incolpevoli di una guerra non voluta ma forzosamente sopportata. Uomini, donne, bambini, madri, padri, fratelli, sorelle, tutti spinti dalla fame e dalla miseria ad essere martiri sacrificali sull’altare della libertà e del dovere naturale. Per essi e per tutti i morti senza insegne le Pro Loco di Balvano e San Mango Piemonte emaneranno un pubblico concorso per la realizzazione di un monumento in ricordo del Civile Dimenticato.

Di seguito una breve scheda scritta dal Prof. Vincenzo Esposito, autore del documentario etnogarfico sulla tragedia del treno 8017, che è di invito alla conoscenza di un evento che, oltre a sconvolgere i temporanei per la sua drammaticità, ha avvinto ricercatori e storici nella desecretazione delle verità celate ed ha coeso discendenti e conoscenti, enti ed associazioni, in una comparticipazione operativa volta alla memoria di tante incolpevoli vittime delle assurdità di una guerra non combattuta:”Quando mi imbattei nei fatti tragici di Balvano, della Galleria delle Armi e del treno merci 8017 non pensai affatto che tutte quelle vicende dolorose – le vite e le morti di circa seicento persone, lo sforzo pressoché inutile di quei pochi che furono precettati per un tardivo tentativo di soccorso, il nefasto sfondo sul quale gli avvenimenti si produssero, quello della II guerra mondiale – potessero dare il via ad una ricerca etnografica sul campo diretta da un antropologo culturale e, soprattutto, non pensai che potessero diventare l’oggetto di un video documentario di natura etnologica, capace di proporre non un tentativo di interpretazione dei fatti – di per se stessi fin troppo chiari – ma una loro chiara contestualizzazione sociale, ambientale, culturale. In grado di porsi come momento critico, riflessivo e dialogico relativo agli avvenimenti. Avevo torto.
Come antropologo e come essere umano, mi sentii coinvolto perché avevo netta la sensazione che, per quanto dimenticate, le vicende di Balvano e del treno 8017 fossero una parte della nostra tradizione e della nostra storia sulla quale, professionalmente, avrei potuto dire qualcosa. In questo senso, il documentario che presento può definirsi un «lavoro» etnologico audiovisivo sulla memoria e sulla costruzione di un ricordo. Perché le tragiche e singolari vicende occorse al treno 8017 sotto la Galleria delle Armi, a Balvano, in provincia di Potenza, con la loro lista di centinaia di morti, rappresentano, per chi le ricorda e le vuole celebrare mestamente ma anche con fiera consapevolezza, il limite tra un passato tragico di guerra, che non deve ritornare, con la sua lunghissima sequenza di catastrofi e di lutti, ed un presente problematico – quindi con tutte le sue contraddizioni ma anche con alcune precise convinzioni come il rifiuto di ogni guerra e di ogni violenza. A Balvano è avvenuta la più grande sciagura ferroviaria d’Europa e, contemporaneamente, è stata costruita una tradizione che la ricorda e ne rende sopportabile il peso «storico». O, in altre parole, ci si trova di fronte a una vicenda che è diventata, per molti, una tradizione in senso antropologico: una «ricordo» che ci indica chi siamo oggi e chi eravamo ieri. È questo ciò che ho provato a mostrare con il mio documentario.
Tuttavia, il video documentario sui fatti del marzo ’44 deve essere considerato etnologico per un’altra importante questione e cioè per il modo in cui è stato realizzato e costruito. È superfluo, credo, precisare che esso derivi da una lunga ricerca che si è svolta sul campo, raccogliendo dalla viva voce degli informatori le maggior parte delle notizie utili a ricostruire il contesto nel quale si svolsero le drammatiche vicende che racconta. È infatti importante sottolineare come nel documentario non vengano raccontati o ricostruiti i fatti «così come si sono svolti» ma venga interpretata – attraverso il punto di vista di Vincenzo Pacella, allora giovane militare italiano in attesa di destinazione dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, di Ugo Gentile, giovanissimo capostazione di Baragiano e di Vincenzo Francione, figlio di una delle vittime dell’incidente – la temperie culturale che fece da cornice ai fatti del treno 8017, ovvero quel grande sfondo storico, politico e sociale che è stata la II guerra mondiale, col suo inumano carico di strazio, morti, miseria, bombardamenti, distruzione, follia politica, macerie materiali e morali. Uno sfondo drammatico sul quale l’umana presenza, per dirla con de Martino, provava, nonostante tutto, a rimanere sveglia nel suo tentativo di trasformare il contingente in valore; provava a trovare gli strumenti morali e culturali per arginare quel negativo per eccellenza, da intendersi come incapacità di reagire ed agire nel contesto in maniera realisticamente e concretamente orientata, in assenza dei più elementari beni materiali, atti a garantire la sia pur minima sopravvivenza materiale.
Questo lavoro di ricostruzione e interpretazione del contesto è avvenuto attraverso una tecnica narrativa squisitamente antropologica, quella del collage. Un contributo capace di presentare simultaneamente – per la specificità del mezzo tecnico e del suo linguaggio – materiali e documenti che, per loro «natura», sembrano eterogenei e forse incomparabili: testimonianze, pagine di libri, sequenze cinematografiche, canzoni scritte per ricordare, fotografie d’epoca. Materiali e documenti che invece – grazie al linguaggio del medium, alla tecnica del montaggio in particolare – messi insieme si disambiguano e forniscono un nuovo, possibile senso a ciò di cui già sono interpretazione, narrazione, descrizione, rappresentazione.”

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